Gorky Park by Martin Cruz Smith

Gorky Park by Martin Cruz Smith

autore:Martin Cruz Smith [Cruz Smith, Martin]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
Tags: narrativa evasione
editore: Mondadori
pubblicato: 2006-04-10T17:10:59+00:00


Levin venne ad aprirgli in pigiama. Arkady entrò, sparato, con Irina in braccio. La distese su un divano. Poi si voltò e disse all'amico dottore:

«L'hanno tramortita, o le hanno fatto un'iniezione, non so. Scotta molto.»

Levin s'infilò una vestagliaccia sopra il pigiama. Era in forse se dire ad Arkady di andarsene o no.

«Non mi hanno seguito» lo rassicurò Arkady.

«Vuoi offendermi?» disse Levin, che aveva intanto preso una rapida decisione. Controllò il polso di Irina. Il viso della ragazza era arrossato e smorto, la giacca afgana ridotta a brandelli. Arkady si sentì in imbarazzo per lei. Non vedeva in che stato era lui stesso.

Levin gli mostrò un livido e dei forellini, sull'avambraccio della ragazza.

Disse: «Iniezioni. Di sulfazina, probabilmente, a giudicare dalla febbre. Un lavoro pasticciato».

«Magari lei si divincolava.»

«Eh già» disse Levin, in tono che sottolineava la stupidità dell'osservazione. Accese un fiammifero, lo passò davanti alle pupille della ragazza, coprendo prima un occhio, poi l'altro.

Arkady rabbrividiva ancora, dopo aver evitato la morte per un pelo. Prima che il macchinista avesse potuto dare l'allarme e la Polizia giungere sul posto, lui aveva già portato via Irina, e l'aveva caricata sulla sua auto. Era scappato, ecco. Questo pensiero gli batteva in testa, come un volano scassato. Un Investigatore di Polizia che scappa davanti ai poliziotti! E Levin che si mette in sospetto non appena vede una ragazza svenuta! Magnifico Paese, in cui tutti capiscono al volo certe situazioni.

Arkady si guardò intorno. Non era mai stato finora a casa di Levin. Anziché soprammobili o gingilli, sui tavoli e sulle scansie c'erano scacchiere - di marmo, d'avorio, di legno - con i pezzi schierati per altrettante partite interrotte. Alle pareti, ritratti di grandi campioni di scacchi: Lasker, Tal, Botvinnik, Spassky e Fischer. Tutti ebrei.

«Se hai un po' di cervello» disse Levin, «adesso la riporti dove l'hai trovata.»

Arkady scosse la testa.

«Allora, aiutami» disse Levin.

La portarono sul letto di Levin, ch'era una semplice branda. Arkady le sfilò gli stivaletti e aiutò Levin a spogliarla completamente. I suoi indumenti erano zuppi di sudore.

Altre volte, Arkady e Levin avevano contemplato assieme dei corpi nudi, ma rigidi e freddi. Ora però il patologo appariva impacciato, sebbene cercasse di non darlo a capire. Arkady non lo aveva mai visto tanto umano: era nervoso, con un corpo vivo. E Irina Asanova era, indubbiamente, viva e tutt'altro che fredda, benché in stato comatoso. La febbre le arrossava la pelle. Più snella di quanto Arkady pensasse, aveva seni pesanti dalle areole oblunghe, il ventre incavato, un folto pelo sul pube, bellissime gambe. Fissava Arkady senza vederlo.

Le fecero impacchi con panni bagnati per farle diminuire la temperatura.

Levin indicò il segno bluastro che la ragazza aveva sullo zigomo destro.

«Vedi questo?»

«Sarà stato un incidente, no?»

«Altroché!» Levin sogghignò. «Vatti a dare una pulita, va'. Il bagno lo trovi da te, mica è il Palazzo d'Inverno, questo.»

Nello specchio del bagno, Arkady vide ch'era tutto sporco di polvere e fuliggine, e che aveva un sopracciglio spaccato, come da un colpo di rasoio. Si lavò, si ripulì alla meglio, poi tornò in soggiorno.

Levin stava facendo del tè.



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